Al presidente onorario della Fondazione Antonino Caponnetto il “Sole24ore” ha dedicato un’intera pagina declinandola sul tema della cultura della legalità che per Antoci va accompagnata al lavoro. “Così puoi restituire dignità e prospettiva, ordine e benessere” dice Antoci, definito nell’articolo di Paolo Bricco “Servitore dello Stato” che dal 2018 è presidente onorario della Fondazione Caponnetto ed è stato, dal 2013 al 2018, presidente del Parco dei Nebrodi, Durante quel periodo – per il suo attivismo a far divenire legge il protocollo di legalità che oggi porta il suo nome – fu oggetto anche di un attentato ed oggi vive sotto scorta, oggetto sempre dei riferimenti diretti delle cosche che non demordono a volerlo morto.
«Siamo un popolo che viene dalla terra. Il bene e il male presenti nei campi si manifestano in tutta la nostra società»,
«La retorica della legalità è diversa dalla cultura della legalità. La retorica, distinta dall’idea del lavoro, non produce nulla. A un padre di famiglia disoccupato non puoi chiedere di morire di legalità, soprattutto quando questa è una chiacchiera vuota. La cultura della legalità va accompagnata al lavoro. Così puoi restituire dignità e prospettiva, ordine e benessere. La prima forma di sottomissione è al bisogno. Questa è l’origine materiale della criminalità organizzata. La seconda è alla paura…”
Giuseppe Antoci è molto diretto, a tratti duro, esplicito.
Per il presidente onorario della Fondazione Caponnetto servono sviluppo e cura, magari attraverso grandi opere al Sud, purché non creino impatti ambientali dannosi dei legittimi proprietari e la rinuncia all’affitto degli appezzamenti da parte dei normali contadini a favore dei suoi affiliati e dei suoi prestanome: i tutto per appropriarsi del fondi europei per l’agricoltura.
L’intervista, scrive Paolo Bricco, è stata fatta durante una giornata afosa di inizio agosto, a Caronia: “i sette uomini della scorta, dopo avere organizzato la sorveglianza, si siedono anche loro, accolti esattamente con la stessa ospitalità riservata a me” dalla titolare dell’agriturismo che li accoglie.
Una donna che ha scelto di fare l’imprenditrice, che ha lasciato da parte la laurea in psicologia per lavorare con il marito Giuseppe il “miglior artista dello street food”.
Una scelta di vita che ben si inserisce nella “storia” di Antoci e nella sua battaglia verso la legalità ed il lavoro che rende liberi.
Antoci parla dei flussi finanziari che passano dalle banche, l’impatto che può avere sulla vita delle persone la criminalità organizzata. Lui ha elaborato un protocollo di legalità basato sulla fine delle autocertificazioni antimafia false. Nel 2017 questo metodo è stato recepito dal Parlamento diventando legge.
La Commissione europea ne ha consigliato l’applicazione ai suoi Stati membri. Negli anni, si è scoperto che il sistema delle autocertificazioni false. Un “sistema” esteso dalle mafie in tutta la Sicilia e non solo. Giuseppe Antoci parla dell’attentato e di come il suo operato da presidente del parco ha alimentato l’inchiesta di Maurizio De Luca, allora responsabile della Direzione distrettuale antimafia di Messina e oggi capo della Procura di Palermo, che è sfociata nell’ottobre del 2022, in una sentenza di primo grado con pene superiori a seicento anni di carcere.
Ma dice anche di come i carabinieri abbiano scoperto che un gruppo di detenuti al 41-bis ha dato indicazione di colpirlo di nuovo. Il 10 giugno, vicino a un albergo di Bologna dove lui soggiornava, sono stati ritrovati due bossoli.
«La mafia siciliana ha un problema di liquidità. Con la strategia stragista che ha portato alla morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino nel 1992, la risposta dello Stato ha costretto Cosa Nostra a riperimetrare la sua azione.
Il narcotraffico è diventato dominio della ‘Ndrangheta. Le truffe su fondi comunitari rappresentavano un polmone finanziario essenziale per il funzionamento delle cosche. Soldi facili. In arrivo da conto corrente a concorrente. Senza esercizio della violenza. Tutto. in apparenza, regolare. Una enorme provvista con cui supportare i costi generali delle famiglie dei mandamenti. Denaro con cui pagare gli avvocati, corrispondere gli stipendi dei soldati a tutare le famiglie di chi sta in carcere».